ΚΑΤΑΚΟΜΒΕΣ ΤΟΥ ΟΥΡΑΝΟΥ
ITALIANO: ΙΕΡΑ ΜΟΝΗ ΒΑΡΛΑΑΜ
IL SACRO MONASTERO DI VARLAAM
L’imponente roccia del Monastero di Varlaam, è situata molto vicino e di fronte alla roccia del Monastero del Grande Meteoro, ma in estensione è assai più piccolo di esso. È stato abitato, secondo la tradizione, per la prima volta nel XIV secolo, seicento anni fa, dal contemporaneo del Pio Atanasio, il Meteorita, asceta eremita Varlaam, il cui nome è stato dato al monastero.
Il maestoso Katholikon attuale, dedicato alla memoria di Tutti i Santi, fu costruito nel 1541/42, come testimoniano le iscrizioni relative e altre fonti archivistiche, dai fratelli ieromonaci Teofane († 17 Maggio 1544) e Nectario († 7 Aprile 1550), i cosiddetti Apsarades da Ioannina. Sembra però che, in realtà, la costruzione della cattedrale fosse finita grosso modo verso il 1541/42, mentre le rifiniture dell’edificio e del nartece continuassero fino al maggio del 1544, come si può dedurre dal memorandum dell’ ieromonaco Cassiano, priore del monastero di Simonos Petra, il quale si riferisce alla morte dell’ieromonaco Teofane. Secondo questo testo, Teofane, esaurito da una malattia gravissima, che perdurò dieci mesi, morì il Sabato 17 Maggio del 1544, (verso l’alba della Domenica del Cieco).
Nei suoi ultimi momenti dunque, poco prima di morire, concentrò tutte le sue forze, uscì dalla sua cella e appoggiato al suo bastone, camminò con ansietà fino alla chiesa che era appena finita. Entrato, rimase stupito dalla bellezza e lo splendore. Lodò e ringraziò Dio e Tutti i Santi, alla memoria dei quali dedicò la chiesa. In seguito benedisse tutto il personale tecnico dei frati del monastero presente - muratori, fabbri, scultori - i quali avevano lavorato per le rifiniture e l’abbellimento della chiesa, e profondamente commosso e soddisfatto ritornò nella sua cella, dove calmo e felice consegnò la sua anima nelle mani del suo Creatore.
«Nell’anno 1544, il 17 del Maggio, il giorno di Sabato,l’ora nona, fu compiuta la costruzione della santissima e bellissima chiesa assieme al nartece sulla sacra roccia di Varlaam, a spese e fatica dei, reverendissimi padri e fratelli, memorabili sig. Nectario e sig. Teofane. In questo tempo si ammalò per dieci mesi il memorabile Teofane, si affaticò molto dalla gravità della malattia, quasi arrivò fino alle porte della morte. Il suo ardore per la chiesa lo spinse ad alzarsi volentieri e pieno di gioia, benché malato, si appoggiò al suo bastone ed entrò dentro. Appena visto la chiesa finita alzò le mani verso il cielo, disse «Gloria a te Dio» e ringraziò Tutti i Santi, ai quali aveva particolare devozione; alla loro memoria è stato dato il nome alla chiesa. Parimenti ringraziò e benedisse tutti i frati: muratori, fabbri, scultori e pregò per loro. Dopo tutto tornò da solo nella sua cella, dove, avendo fatto il segno della croce consegnò il suo corpo santificato, guardando verso l'oriente ...» (cod. 180 e 275 del Mon. Varlaam). (Ἐπί ἔτους ζνβ΄ [7052-5508=1544], κατά τόν μῆνα Μάϊον, τῇ αὐτοῦ ιζ΄, Σαββάτου λαχούσης τῆς ἡμέρας, ὥρᾳ δέ ἐνάτῃ, ἐτελειώθη ὁ πάνσεπτος καί περικαλλής ναός σύν τῷ νάρθηκι, ἐπάνω τῆς ἱερᾶς πέτρας τοῦ Βαρλαάμ, διά συνδρομῆς, κόπων τε καί ἐξόδων τῶν πανοσιωτάτων καί αἰδεσιμωτάτων πατέρων, τῶν καί αὐταδέλφων κυροῦ Νεκταρίου καί κυροῦ Θεοφάνους, τῶν μακαρίων ἀνδρῶν. Ἐν τῷ δε τῷ καιρῷ ἠσθένησεν ὡσεί μῆνας δέκα ὁ μακάριος Θεοφάνης καί τοσούτῳ δαμασθείς ὑπό τῆς πολλῆς ἀσθενείας, ὅτι σχεδόν ἐγγίσας ἕως τῶν πυλῶν τοῦ θανάτου˙ ἀπό δέ τοῦ πόθου, οὖπερ εἶχεν πρός τόν ναόν, ἐγερθείς προθύμως καί περιχαρής, οἷα καί ἦν ἀσθενής στηριζόμενος ὑπό τῆς ῥάβδου αὐτοῦ, ἔνδον εἰσελθών καί ἰδών τήν τελείωσιν τοῦ ἱεροῦ ναοῦ καί ὑψώσας τάς χεῖρας εἰς τόν οὐρανόν καί τό ‘δόξα σοι ὁ Θεός’ ἐπειών, τούς δέ Ἁγίους Πάντας εὐχαριστήσας ἐκ πόθου –οὕτω γάρ τῷ ναῷ τῷ κοινῷ οὗτος προσηγορεύσατο-, ὁμοίως οὗν εὐχόμενος καί εὐλογῶν καί πάντας τούς ἀδελφούς, λατόμους καί οἰκοδόμους, κτίστας τε καί τούς λεπτουργούς, ἐπίσης ἐδεξιώσατο καί υπερ ηυχήσατο ἡ ἡγιασμένη ψυχή. Εἶτα πάλιν ἐστράφη τοῖς ἰδίοις ποσί πορευόμενος ἐν τῷ κελλίῳ αὐτοῦ καί, σχηματισάμενος ἑαυτόν τῷ τύπῳ τοῦ ζωοποιοῦ σταυροῦ, κατέθετο τό ἱερόν σκῆνος ἐπί τήν στρωμνήν αὐτοῦ, ὁρῶν πρός ἀνατολάς…).
Il Katholikon del Monastero di Varlaam è elegante e tipico dello stile athonita, con una navata centrale a due pilastri, a forma di croce circoscritta, il quale a sinistra e a destra porta le caratteristiche conche dello stile athonita, cioè i cori. La navata centrale segue un nartece interno spazioso con bellissima cupola al centro, simile a quella della navata centrale posta su quattro colonne.
La navata centrale, come testimonia l’iscrizione (sul muro meridionale) è stata affrescata nel 1548. Non è registrato il nome del pittore, però la tecnica, i colori, i movimenti e l’ordine delle scene e delle figure, e generalmente le caratteristiche tecniche di questi affreschi, che sono gli stessi di quelli della cappella di San Nicola nel Monastero di Lavra Magna (in Athos), eseguiti (secondo l’iscrizione della cappella) nel 1560 dal pittore oriundo di Tebe Franco Catelano, tutti questi elementi fanno attribuire con certezza allo stesso famoso artista la pittura ad affresco della navata centrale del monastero di Varlaam. A Franco Catelano si attribuiscono pure, sempre secondo le caratteristiche tecniche, gli affreschi della cappella del monastero del Ossios Nicanor in Zavorda di Grevena.
Nella cupola è dipinto l’Onnipotente come Giudice Equo, sul timpano il coro onorifico dei profeti e degli angeli, sui triangoli sferici i quattro Evangelisti, dei quali Luca viene rappresentato mentre dipinge l’icona della Madonna. Nelle due conche laterali, ai cori, della navata centrale, sono rappresentati dei santi militari, mentre nelle più alte superfici dei muri sono dipinte delle composizioni multipersonali, tratte dalla vita e la passione del Signore, e in genere dal Calendario delle feste della Chiesa. Sul muro occidentale, sopra l’entrata, la consacrata rappresentazione della Dormizione della Madonna; al centro domina l’inanimato corpo della Madonna sul letto funebre e Cristo che tiene teneramente l’immacolata anima della Sua Madre Vergine; a sinistra e a destra angeli, apostoli e gerarchi. Magnifica è l’iconografia di immagini isolate di santi, come dei meravigliosi cantori della Chiesa Giovanni Damascenoe Cosma di Maiuma.
Sulle colonne orientali, ai lati del templon, si raffigurano interi, a sinistra la Madonna e a destra Cristo, che con le loro ricche e caratteristiche aureole decorate ricordano fortemente icone portatili, come succede con altre isolate figure di santi e di arcangeli (San Giovanni Battista, Arcangelo Michele ecc.). Sulle colonne occidentali sono dipinti i fondatori del monastero con l’abito monacale, pieni di umiltà e devozione, a sinistra sotto la Madonna, Teofane che tiene e offre, come di consueto, artificioso ritratto dell’edificio e a destra e sotto il Cristo, Nectario.
Nella conca del Santuario è impressionante l’imponente figura della dolce Madonna nello splendore dell’oro e degli altri colori e la bellezza nell’espressione del suo viso. Più giù la rappresentazione degli angeli come funzionari dell’Iddio, piena di solenne e segreta compunzione e venerabilità.
La pittura ad affresco brillante della navata centrale del Katholikon del Monastero di Varlaam ha tutte le caratteristiche dell’iconografia di Franco Catelano, e cioè, da una parte i dettagli narrativi e l’analisi dei fatti storici nelle composizioni illustrative, e dall’altra l’intenso realismo, forse prestito e influenza dall’arte italiana.
Franco Catelano non ha certo potuto sfuggire completamente all’influenza del grande pittore cretese Teofane però, come osserva A. Xigopoulos, «la sua opera potrebbe caratterizzarsi come una reazione all’ammirazione generale e, in qualche modo, alla sottomissione all’arte del grande artista cretese».
Diciotto anni dopo la pittura ad affresco della navata centrale, nel 1566, secondo le ufficiali testimonianze epigrafiche, affrescarono il nartece interno del Katholikon, a spese del vescovo di Vella di Ioannina Antonio Apsaras, i confratelli agiografi di Tebe, Giorgio, prete e sacellario della diocesi di Tebe e Franco, questi due fratelli pittori, si chiamavano Kontaris, come testimoniano le iscrizioni in diverse chiese nei villaggi di Epiro, Krapsi e Klimatia o Veltsista. La chiesa di San Nicola di Krapsi è stata dipinta in comune dai fratelli Kontaris nel 1563, mentre la chiesa della Trasfigurazione del Salvatore di Klimatia dal solo Franco Kontaris nel 1568.
Sulla cima della cupola del nartece, domina la figura dell’Onnipotente. Sul muro orientale la pluriforme composizione del Giudizio Universale con tutte le sue scene caratteristiche. Sul muro occidentale l’impressionante e allegorica rappresentazione del beato eremita Sissois, il quale si duole sopra la tomba aperta, contenente lo scheletro nudo del glorioso condottiero e conquistatore Alessandro Magno. L’insieme simbolizza la filosofia della vanità della vita mondana e l’implacabile e inevitabile sorte della morte per ogni uomo senza eccezione: «Tutte le cose umane che smettono di essere dopo la morte sono vane; perché non rimane la ricchezza, non accompagna [nell’aldilà] la gloria; perché quando avviene la morte, tutto questo sarà sparito» (Πάντα ματαιότης τά ἀνθρώπινα ὅσα οὐχ ὑπάρχει μετά θάνατον˙ οὐ παραμένει ὁ πλοῦτος, οὐ συνοδεύει ἡ δόξα˙ ἐπελθών γάρ ὁ θάνατος, πάντα ταῦτα ἐξηφάνισται…).
Al lato orientale del muro meridionale figurano sopra la loro tomba, i beati fondatori Nectario e Teofane, che tengono insieme in mano il ritratto della chiesa. Si rendono evidenti, nei loro volti immaterializzati, le caratteristiche ascetiche e la sopramondana serenità. Sulle colonne orientali a sinistra viene raffigurata la Madonna Mediatrice e Protettrice dei cristiani e a destra Cristo. Tutto il resto delle superfici dei muri è pieno di scene di martiri, di santi, di pii eremiti ecc.
L’iscrizione al di sopra dell’affresco della Madonna nel nartece, a sinistra, ci informa che: «nell’anno di Cristo 1780 e 1782, si rinnovarono tutti gli affreschi del santuario e del nartece a contributo e spese dell’umile vescovo dei Staghi Partenio, a memoria e salvezza della sua anima».
Si tratta del dotto e attivo vescovo dei Staghi Partenio (marzo 1571- † 26 marzo 1584), il quale è stato frate del monastero e grande donatore e benefattore. Tra l’altro donò al Monastero anche il suo notevole archivio personale come pure la sua biblioteca. A sue spese costruì il nartece esterno del Katholikon, il quale era costituito da un portico ad archi in doppia fila, come viene riferito e descritto nei versi del ieromonaco Gabriele Aghiamonitis (1786). Questo nartece esterno, pare che fosse stato conservato fino al 1857, quando, come ci fa vedere una iscrizione sul muro, è stato restaurato e ricostruito sotto lo stesso progetto, per venire infine sostituito dal nartece esterno attuale con gli appartamenti per gli ospiti al piano di sopra. Questi lavori, come testimonia una tavoletta di marmo del 1930, sono stati effettuati all’epoca del Metropolita di Trikki e dei Staghi Policarpo (Tommaso) e dell’abate del monastero Cristoforo Mais.
Degno di ammirazione per la sua lavorazione fine e raffinata è il templon del santuario, scolpito in legno e coperto da fogli d’oro come pure il seggio dell’abate e i due leggii con ricca e bellissima decorazione in avorio. Su uno di questi è incisa un’iscrizione, la quale ci informa che furono costruiti all’epoca del vescovo dei Staghi Paisios (il Kleinovitis, 1784-1808) e all’epoca dell’abbazia di Anatolio.
Oggi il monastero di Varlaam dispone di una ricca e considerevole collezione di manoscritti, nel numero di 290. Alcuni di essi presentano particolare interesse per la decorazione artistica multicolore (poche miniature, molte lettere iniziali e sopratitoli decorativi). Vale la pena notare che qui, alla fine del XVI o agli inizi del XVII secolo, funzionò il più organizzato scriptorium dei monasteri delle Meteore, dove lavoravano metodicamente e intensivamente calligrafi specializzati e copisti-decoratori di codici. Così agli inizi del XVII secolo ci lavorarono molti calligrafi, maestri e allievi, tutti dall’ambiente artistico di Valachia. Si fa riferimento al noto cipriota calligrafo e copista di codici Luca, vescovo di Boseo (1583-1603), consacrato più tardi metropolita di Ungheria e Valachia (1603-1628), all’epirota Matteo di Mira († 1624) e agli ieromonaci varlaamiti Arsenio e Ioannichio.
Tra i codici manoscritti, esposti in vetrina nel museo del monastero, è da osservare il codice 298, evangeliario in pergamena di alta qualità e di gran valore paleografico, che si considera il medaglione personale dell’imperatore Costantino VII, il Porfirogenito (912-959). Questo codice, però, che proviene dal monastero di Dousikou (San Bessarione), sembra che fosse stato scritto, come dimostra lo stile della scrittura, secoli dopo, alla fine del XIII o agli inizi del XIV secolo.
Molti e vari sono i libri stampati antichi della biblioteca del monastero. Nel suo museo oltre agli manoscritti illustrati, sono esposti molti altri cimeli ecclesiastici, come icone portatili postbizantine, abiti sacerdotali dorati e epitaffi, oggetti di arte miniaturistica e di argento.
Tra le icone portatili di grande valore artistico è la “Madonna che tiene il Bambino”, circondata da due angeli e santi, opera eseguita nel 1668 dal famoso pittore cretese Emmanuelle Zane. Di particolare importanza però, a parte il suo valore artistico, è il meraviglioso epitaffio, ricamato in oro su velluto verde; opera che risale al 1609, prova che al monastero di Varlaam era in funzione un laboratorio speciale di puntatura in oro, poiché l’iscrizione riferisce che: «il voto presente è stato finito sulla colonna di Varlaam a spese del medesimo monastero...». L'epitaffio porta sulla sua cornice la nota iscrizione metrica: «Con fede e ardore aspetto la Tua terribile Seconda Venuta, Re...».
All’estremità nord-ovest della roccia, si trova la cappella dei Tre Gerarchi, chiesetta ad una navata divisa, che secondo la sua iscrizione è stata costruita nel 1627 e dipinta nel 1637 dal sacerdote di Kalambaka Giovanni, assistito dai suoi figli. Questi affreschi, conservati molto bene, formano un insieme caratteristico della pittura della prima metà del XVII secolo.
Interessante è la rappresentazione dei ventiquattro versi dell’Inno Akathistos. Impressionanti sono, sul muro occidentale, due composizioni multiformi: a destra quella della Dormizione di Giovanni Crisostomo, e a sinistra quella della Dormizione di Efrem, il Siro. L’odierna cappella sostituì una omonima antica chiesetta, costruita dal primo abitante della roccia, anacoreta Varlaam e in seguito restaurata dai confratelli Apsarades, Teofane e Nectario.
Altri edifici notevoli del Monastero di Varlaam, che presentano particolare interesse architettonico, sono: l’antico refettorio, che nei giorni nostri è stato ristrutturato (2000), è stato ripristinato il suo uso originale ed è stato dipinto ad affresco; Estia [focolare], una delle più belle ed eleganti costruzioni della sua specie, coperto con cupola a otto lati che serviva da fumaiolo; infine, di particolare interesse è l’ospedale.
Un altro edificio rilevante è la Sacrestia, costruita dalle fondamenta nel 1998, dentro la quale sono esposti i cimeli del Monastero, nonché la chiesetta dei Santi Anargiri che si trova accanto alla Sacrestia.
I santi fondatori del Monastero di Varlaam, Nectario e Teofane, nella loro gioventù, attorno al 1495, ricevettero lo schema monacale dal loro padre spirituale Sabba, vicino al quale sono rimasti per un decennio, fino alla sua morte († 9 aprile 1505), nell’isola di Ioannina. Fu in quell’anno, probabilmente, che, dopo la morte del loro padre spirituale, partirono dall’isola di Ioannina per andare a vivere in ritiro all’Athos, nel Monastero di Dionigi, vicino all’ex patriarca ecumenico Nifon († 12 agosto 1508). Dopo un soggiorno di pochi anni ritornarono di nuovo all’isola di Ioannina, dove costruirono a loro spese, verso il 1506-1507, il monastero di San Giovanni Battista. Successivi interventi però del potere ecclesiastico e secolare, li costrinsero a lasciare definitivamente, attorno al 1510/11, la cella del loro pentimento. Così si trovarono sulle rocce meteoritiche, cercandovi il perfezionamento ascetico e la pace interna. Al principio gli fu concessa la colonna del Battista, dove rimasero per sette anni (1510/11-1517/18). Infine, nel 1517/18 si stabilirono nel loro permanente eremitaggio, sulla roccia a punta di Varlaam, dove con le loro fatiche, con le preghiere e l’ascesi austera, coltivarono e fecero crescere l’albero delle virtù spirituali.
Gli stessi fondatori, nei loro testi autobiografici (autobiografia, lettera testamentaria dell’anno 1541/42, ricordi contemporanei nel cod. 127 del Mon. di Varlaam) danno preziose informazioni e notizie della loro vita e opera, e specialmente della loro attività costruttiva e spirituale sulle rocce delle Meteore. Citiamo alcuni brani caratteristici:
«siamo dunque rimasti per un breve periodo di tempo nella cella di San Giovanni Battista; però l’astuto e omicida diavolo non tollerò vederci vivere in Dio pacificamente... Noi ci ricordammo di questo e lasciammo la nostra patria per andare alle Meteore, dove chiedemmo di nuovo un luogo per meditare. Ci fu dato dai padri l’eremitaggio, cioè la colonna di San Giovanni Battista, sulla quale salimmo e rimanemmo per sette interi anni, dopodiché pensammo di scendere di nuovo da questa e andare a dimorare da qualche altra parte, sia perché la colonna di San Giovanni era stretta, sia per l’invidia degli altri che stavano giù. Inoltre, il vento che tirava lassù era nocente e morbigeno e rendeva impossibile la nostra permanenza. Perciò, trovammo l’ampia e ariosa roccia, adatta per la nostra permanenza e meditazione, che veniva chiamata di Varlaam a causa di un monaco Varlaam, il quale è stato un tempo su questa, però era inabitata e completamente deserta da tanti anni. Così nell’anno 1517/18 cominciammo a restaurarla e costruirla perché diventasse abitabile, dato che prima non aveva né scala, né tanto meno qualche altra costruzione, tranne alcuni resti di antichi edifici e del santuario della chiesa. Infatti, non esisteva alcuno dei monaci e dei laici vicini che ricordasse un abitante sulla roccia. Così, dopo fatiche e dolori... e sempre a nostre spese cominciammo con la restaurazione di una parte della chiesa dei grandi Tre Gerarchi, avendo naturalmente l’assistenza divina... Per merito della divina provvidenza ci raggiunsero molti dei frati e siccome il loro numero aumentò e arrivò ai trenta, pensammo all’ampliamento dell’eremitaggio e della chiesa per farli comodi e adatti all’ascesi dei frati. Dopo aver pensato alla situazione nuova, tutti i frati lavorarono con zelovicino a noi e così tutti insieme facemmo codesta grande chiesa, che venne dedicata a Tutti i Santi. Fu costruita e finita nell’anno 1541/42, in venti giorni, dalle fondamenta». (autobiografia) (Μείναντες τοίνυν ἡμεῖς ἐν τῷ οἰκοδομηθέντι κελλίῳ τοῦ Τιμίου Προδρόμου χρόνον μικρόν, οὐκ ἦν ἀν εκ τόν τῷ πονηρῷ καί ἀνθρωποκτόνῳ διαβόλῳ ὁρᾶν ἡμᾶς κατά Θεόν καί εἰρηνικῶς ζῶντας… Τοῦτο οὖν ἐνθυμηθέντες, ἀπαίρομεν τῆς πατρίδος ἡμῶν καί παραγενόμενοι ἐν τῷ θείῳ ναῷ τοῦ Μετεώρου τόπον ἡσυχίας καί αὖθις ᾐτήσαμεν. Ἐδόθη δέ ἡμῖν τό ἡσυχαστήριον, ἤτοι ὁ στύλος τοῦ ἱεροῦ Προδρόμου παρά τῶν τότε πατέρων, ἐν ᾦ καί ἀναβάντες καί ἐπί ἑπτά ὅλοις ἔτεσιν οἱ δύο μόνοι ἐκεῖσε δια περάσαντες, πάλιν διεσκεψάμεθα κατελθεῖν ἐκ τούτου καί ἄλλοθέν ποθεν οἰκῆσαι. Ἐστενωμένος ἦν γάρ πάνυ ὁ τοῦ ἱεροῦ Προδρόμου στύλος καί ἄλλως διά τήν ὑπο κάτω τῶν παραβαλλόντων σύγχυσιν˙ οὐ μήν ἀλλά καί οἱ περιερχόμενοι ἀέρες αὐτῷ, βλαπτικοί τε καί νοσώδεις ὄντες, οὐκ εἴων ἡμᾶς ἐκεῖσε διάγειν καί παροικεῖν. Διό καί εὑρόντες τόν πλατύν καί εὐάερον καί ἡσυχαστικόν λίθον εὐρύ χωρόν τε καί ἀρεστόν ἡμῖν πρός παροίκησιν ὄντα, ὅστις καί Βαρλαάμ ἐκαλεῖτο, παρά τινος μοναχοῦ Βαρλαάμ, οἰκήσαντος ἐν αὐτῷ πάλαι, τήν ἐπωνυμίαν λαβόντα, καί ἄοικον τῇ πολυετίᾳ ὄντα καί ἔρημον παντελῶς ὡς οἰκόπεδον, ἠρξάμεθα κατά τό [7026-5509/8 = 1517/18] ἔτος ἀνανεοῦν καί οἰκοδομεῖν αὐτόν πρός κατοίκησιν, μήτε κλίμακα ἔχοντα τό πρότερον, μήτε ἄλλην οἰκοδομία, εἰμή μόνον σημεῖά τινα κτισμάτων καί οἰκοδομῶν παλαιῶν καί μέρος τι ἐκ τοῦ βήματος τοῦ ναοῦ. Οὐδέ γάρ ἦν τις ἐν τοῖς εὑρισκομένοις τῆς σκήτεως μοναχοῖς ἤ καί τοῖς πλησίον κοσμικοῖς, ὅστις ἐνεθυμεῖτο ἐν τούτῳ τινά κατοικήσαντα. Καί δή κόπον καί πόνον βαλόντες… πάντα ἐξ οἰκείων κόπων καί ἀναλωμάτων ἡμῶν, καί πρῶτον Θεοῦ συνάρσει ἀνεκαινίσαμεν ἐκ μέρους τόν ναόν τῶν μεγάλων Τριῶν Ἱεραρχῶν… Ἐπεί δέ Θεοῦ συνεργίᾳ καί χάριτι καί πλείονες τῶν ἀδελφῶν ὕστερον συνεισῆλθον ἕως τριάκοντα καί εἰς αὔξησιν τά τοῦ ἡσυχαστηρίου ἐφέρετο, διενᾠήθημεν καί ναόν ἀν οικοδομῆσαι ἐπαρκοῦντα εὐτάκτως εἰς τήν τῶν πλειόνων ἀδελφῶν ἀνάπαυσιν. Καί μετά σπουδῆς καί προθυμίας πάντες οἱ περί ἡμᾶς ἀδελφοί πλεῖστα κεκοπιακόντες σύν ἡμῖν ὁλοψύχως, τόν μέγαν τουτονί ναόν πεποιήκαμεν, τιμηθέντα ἐπ’ ὀνόματι τῶν Ἁγίων Πάντων. Ἔκτισται δέ καί τετέλεσται κατά τό [7050-5509/8 = 1541/42] ἔτος, διά ἡμερῶν εἴκοσιν ὅσον τάχος ἐκ βάθρων…).
Nella loro lettera testamentaria (1541/42) riferiscono inoltre ch e: «Dopo il permesso del metropolita di Larissa e del santissimo abate del monastero pio e reale delle Meteore ci fu data la roccia di Varlaam e ci fu concesso il diritto di amministrarla.
Anni prima, fu costruita una chiesa dedicata alla memoria dei grandi santi, maestri e gerarchi, Basilio, Gregorio e Crisostomo, la quale fu rovinata completamente dall’annoso abbandono, si conservarono soltanto alcuni resti, noi la ricostruimmo dalle fondamenta, la facemmo in modo migliore e stavamo pensando di farla molto più bella e grande, però cambiammo per la paura del potere secolare, infatti, non osammo aumentare l’intera costruzione.
Nel ritirare il nostro piano iniziale contibuì il decreto imperiale, che venne promulgato in quei tempi, secondo il quale sarebbero state distrutte tutte le costruzioni nuove, fatte dopo i lavori di restauro sulle chiese dei cristiani. Fu per questa paura che evitammo di farla secondo il nostro zelo e parere; invece costruimmo una chiesetta per celebrare i sacri uffizi. Essendo rimasti nella chiesa soprannominata per molto tempo, pensammo, illuminati e assistiti da Dio, di costruire dalle fondamenta una chiesa nuova la quale venne fatta a due cupole bellissime dopo molte fatiche e spese. Avendo in aiuto anche Dio Onnipotente, Signore di tutto, costruimmo delle celle per il riposo degli eremiti della roccia e per i visitatori, facemmo degli edifici nuovi, come anche fornimmo il monastero con degli oggetti liturgici e libri ad uso dei preti e dei diaconi perché Dio venisse lodato e glorificato.
Infine, dedicammo ad esso possedimenti di ogni specie, come vigne, campi, frutteti, annessi, mulini e diversi oliveti. Poi lo facemmo funzionare sulle regole cenobitiche e che come tale funzionasse e salvaguardasse i suoi diritti...».
(Ἔνθεν τῇ βουλῇ καί γνώμῃ τοῦ πανιερωτάτου Λαρίσης καί τοῦ τότε ὁσιωτάτου καθηγουμένου τῆς σεβασμίας καί βασιλικῆς μονῆς τοῦ Μετεώρου τόν τοῦ Βαρλαάμ λίθον ἐλάβομεν καί κατά δεσποτείαν ἔχειν τοῦτον συνεχωρήθημεν.
Ἐπεί δέ καί πρότερον κἀν τούτῳ σεβάσμιος ναός ᾠκοδόμητο, ἐπί τῷ τῶν ἁγίων μεγάλων διδασκάλων καί ἱεραρχῶν Βασιλείου, Γρηγορίου καί Χρυσοστόμου ὀνόματι τιμώμενος, τῇ πολυετίᾳ δέ φθαρείς ἤδη καί τῇ τῶν ἀνθρώπων ἐρημώσει ἤδη καί τῇ τῶν ἀνθρώπων ἐρημώσει παντελεῖ ἀφανισμῷ ἐκδοθείς, ὡς ἴχνος καί μόνον ἐκ τούτου σώζεσθαι, καί ἀνεκτίσαμεν πρός τό βέλτιον. Ἐβουλόμεθα δέ ποιῆσαι καί εἰς κρεῖττον κάλλος καί σχῆμα καί μέγεθος, διά δέ τόν τῶν κρατούντων φόβον οὐκ ἐτολμήσαμεν τό παρά παν αὐξῆσαι τό σύνολον.
Συνέβη γάρ τό τε ἐν τοῖς καιροῖς ἐκείνοις ὁρισμός ἐξελθεῖν ὑπό τοῦ σουλτάνου, ἵνα τά καινούργια ὅλα χαλνοῦσιν ὅσα τε ἀνακαινίσθησαν νεωστί ἐπί ταῖς τῶν χριστιανῶν ἐκκλησίαις, καί διά τούτου τοῦ φόβου οὐκ ἐποιήσαμεν αὐτόν καθώσπερ ἡ ἔφεσις καί ἡ βουλή ἡμῶν ἦτον, ἀλλά μικρότι μονύδριον χάριν τοῦ χάλλειν καί ἐκτελεῖντάς ἀκολουθίας ἡμῶν. Ἐν τούτῳ δέ τῷ ῥηθέντι ναῷ οὐκ ὀλίγῳ καιρῷ διατρίψαντες, εἶτα Θεοῦ συνάρσει καί ἕτερον ἐκ βάθρων ἐγερεῖν ἐβουλήθημεν˙ ὅν καί ἀνηγείραμεν διά δύο τρούλλων σταυροθόλιν ὡραῖον καί ποικιλότατον, κόπους τε καί ἱδρῶτας καί ἐξόδους ἐν τούτῳ οὐ τούς τυχόντας ἐνδειξάντες. Συναντιλαμβανομένου δέ ἡμῖν καί τοῦ τά πάντα τελειοῦντος παντοδυνάμου Θεοῦ, ἐν τούτῳ καί κέλλας ἐπήξαμεν πρός ἀνάπαυσιν τῶν ἐνασκουμένων μοναχῶν καί τῶν ἄλλων πως παρατυγχανόντων, καί λοιπάς οἰκοδομάς καί ἀνακτίσεις ἐβελτιώσαμεν. Ἔτι δέ καί σκεύη καί βιβλία καί ἱερά παντοῖα καί ἱερέων καί διακόνων ἀλλαγάς κατεπλουτήσαμεν αὐτήν εἰς αἶνον καί δόξαν Θεοῦ.
Πρός τοῖς δέ καί κτήματα παντοῖα, ἀμπελῶνάς τε καί ἀγρούς, κήπους τε καί παραδείσους καί μετόχια καί μύλωνας καί ἐλαιῶνας διαφόρους… ἐν αὐτῇ ἀφιερώσαμεν… Εἶτα κατεστήσαμεν ταύτην κοινόβιον εἰλικρινές τε καί ἄδολον εἶναί τε ὁμοῦ καί ὀνομάζεσθαι καί πράττειν τε καί φυλάττειν πάντα τά νόμιμα αὐτοῦ…).
I confratelli Apsarades o Apsarates provenivano da una antica e illustre famiglia bizantina e possedevano un grande patrimonio immobiliare. I loro genitori morirono entrambi, avendo ricevuto prima lo stato monacale, con i nomi di Katafighe († 1506-1507) e Giobbe († 1523/24). Monache furono pure le loro tre sorelle, Atanasia (†11 novembre 1512), Eugenia (†1513/14) e una terza il cui nome non ci è noto.
Alla memoria delle sorelle e dei genitori, i monaci Nectario e Teofane costruirono un luogo di ritiro spirituale vicino al Monastero di San Giovanni Battista nell’isola di Ioannina: «Dopo quella [la morte] venne costruita da noi anche la cella, vicino al paese, nella quale le nostre sorelle carnali e spirituali conducevano la vita monastica. Le nostre sorelle furono tre e assieme a loro morirono anche nostro padre e nostra madre, avendo ricevuto il sacro schema monacale» (autobiografia) (Μετά τοῦτο καί τό πλησίον τοῦ χωρίου κελλίον ἐκτίσθη παρ’ ἡμῶν, εἰς ὅπερ αἱ κατά σάρκα καί κατά πνεῦμα ἡμῶν ἀδελφαί κατῴκουν, τόν μονήρη βίον προελόμεναι˙ τρεῖς γάρ ἦσαν αὗται καί σύν αὐταῖς καί ὁ πατήρ καί ἡ μήτηρ ἡμῶν, τῷ ἱερῷ καί οὗτοι τῶν μοναχῶν σχήματι τελειωθέντες).
Interessanti testi ed altre informazioni relative alla vita e l’opera dei confratelli monaci si trovano nei manoscritti 127, 134, 180, 275, e 281 del Monastero di Varlaam, come pure nel manoscritto 172 del monastero di Panteleimon ad Athos, che apparteneva una volta al monastero meteoritico di Varlaam.
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